CON... CRISTIANO CAVINA - SCRITTORE


di Angela Maderna

Nella stagione 1985/’86 la formazione titolare dell’Ac Casola era composta da:
Il ragno della Storta, Frattura, Rigi, Piter Cammello, La Bomba, Oh, te, Il Grande Poggio, Danasi, Il Buitre Berna, Michelino e Isola. Allentaore: Il Mister.
Avevano 13 anni e “mettevano il calcio sopra ogni cosa”, l’anno successivo sarebbe stato quello delle scuole superiori, questa era la loro ultima stagione da esordienti e si giocava un campionato che avrebbe lasciato il segno.

Crisitano Cavina (classe 1974, di Casola Valsenio; Ravenna) con il suo sguardo ironico e la sua penna spassosissima, racconta una storia universale, o forse meglio dire nazionale, nella quale praticamente tutti gl’italiani si possono riconoscere.
Nel corso di questa strana estate monsonica noi “Un’ultima stagione da esordienti” (ed. Marcos y Marcos, 2006) l’abbiamo divorato, ci siamo immedesimati, ci ha appassionati e fatto ridere di gusto.
Cavina, che fino a poco tempo fa è stato anche centrocampista della Nazionale Italiana Scrittori, è uno scrittore (o come ama definirsi lui senza presunzione: un narratore) che racconta la realtà divertendosi e divertendo i suoi lettori. In questa intervista ci ha raccontato di più sul libro, ci ha spiegato cos’è la toccata e qual è il suo punto di vista.


PdC: Ti faccio subito la domanda più scontata: per quale squadra tifi? 
CC: Tifo per il Cesena, con una vecchia simpatia per il Genoa.

PdC: Segui ancora l’AC Casola? Anche in trasferta?
CC:
No, non seguo più l'AC Casola, soprattutto in trasferta: magari ogni tanto approfitto di una sua partita per andare “in gita” con gli amici, facciamo una bella mangiata in un ristorante del paese dove deve giocare e poi andiamo alla partita, ma non molto spesso...

PdC: Sei centrocampista della Nazionale Italiana Scrittori, la miglior partita che avete giocato? Avete anche lì dei soprannomi tipo quelli dei personaggi del tuo libro (Donna Nuda, il Ragno della Storta, il Bute Berna ecc.)?
CC:
In realtà sono alcuni anni che ho smesso, perché tra impegni in pizzeria e con mio figlio Giovanni non riuscivo a far quadrare i giorni; sono rientrato per una partita al Salone del Libro di quest'anno che non è stata male. La miglior partita fu ad una Writers League in Svezia alcuni anni fa, contro l'Inghilterra, che vincemmo 3 a 2 in rimonta all'ultimo minuto. Ci sono alcuni soprannomi, ma per il bene dello spogliatoio è meglio non divulgarli.

PdC: Come e perché hai deciso di scrivere un libro su quell’ultima stagione da esordienti?
CC:
Mah, io volevo semplicemente raccontare di quando fai la terza media in un piccolo paese, e sai che è l'ultimo anno che starai insieme tutti i giorni agli amici con cui sei nato, prima di dividerti per andare nelle varie scuole di città, e anche di come in quel periodo c'è un solo luogo in cui funzioni, visto che a scuola vai così così, le ragazze non ti guardano, i ragazzi più grandi ti menano e i genitori ti sgridano a prescindere, e quel luogo è un rettangolo spelacchiato di cento metri per quaranta con le bandierine negli angoli. E poi volevo celebrare i miei compagni di squadra dell'AC Casola e le cose incredibili viste e fatte sui campi di provincia.

PdC: Quanto c’è di autobiografico in questo racconto?
CC:
Beh, come in tutti i miei libri, direi che siamo attorno al 92%.

PdC: Ci spieghi che cos’è la toccata?
CC:
Detto in poche parole, la toccata è il colpo di magia nel gioco del calcio, una cosa che può capitare a chiunque, almeno una volta nella vita, qualcosa di molto simile al 2 più 2 uguale a 5...

PdC: Molti italiani hanno condiviso un’esperienza simile a quella dei ragazzi dell’AC Casola stagione ‘85/’86 e quasi tutti, almeno una volta, hanno sognano di diventare calciatori. In gioventù hai sognato di diventare un grande mediano? Avevi o hai un calciatore-modello?
CC:
Ho smesso di sognare di diventare calciatore la prima partitella che ho giocato insieme al mio amico Poggio, direi tra i sei e i sette anni; era evidente che tra me e lui c'era un abisso, e solo quelli come lui lo sarebbero diventati. Non ho mai avuto calciatori modello, avevo un idolo che era il centravanti del Casola della stagione 89-90, il bomber Andreatta, geometra presso il comune di Castel Bolognese; faceva gol incredibili, sembrava Vasco Rossi e portò il Casola per la prima volta in seconda categoria.

PdC: Parliamo di qualche personaggio del libro: il Mister (l’allenatore/educatore) e il Rockfeller (colui che in paese può permettersi di fare il magnate e possedere una squadra). Quanto è importante, seppur diverso, il ruolo di queste due figure nella formazione dei giovani?
CC:
Nei piccoli paesi il calcio sopravvive solo ed esclusivamente grazie alla passione di persone del genere e dei genitori che mettono a disposizione tempo e mezzi. È importante perché per un ragazzo, ritrovarsi di fronte a una passione pura e disinteressata è sempre qualcosa di speciale. La passione è l'unica malattia contagiosa che non fa male, anzi...

PdC: Meglio scrivere o giocare a pallone? Leggere un libro o guardare una partita?
CC:
Normalmente, molto meglio leggere un libro che guardare una partita, ma anche in questo caso non sempre lo spettacolo è esaltante, proprio come per le partite. Certo, un Germania-Italia 0 a 2 ai tempi supplementari a Dortmund, Mondiali 2006, vale minimo un “Conte di Montecristo”.

PdC: Da padre consiglieresti di giocare a pallone anche senza l’aspirazione di diventare professionisti o stelle del calcio? Perché?
CC:
Tutte le cose, secondo me, andrebbero fatte senza l'aspirazione di diventare professionisti, quanto piuttosto per il puro piacere di vedersi migliorare, di fare sempre qualcosa di più e meglio, e soprattutto di divertirsi. Una volta chiesero a una famosa psicologa tedesca come avrebbe fatto a spiegare la felicità a un bambino. Lei rispose: “Spiegarla? Non la spiegherei, gli darei semplicemente un pallone.”


© RIPRODUZIONE RISERVATA - 8 SETTEMBRE 2014

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