(di Andrea Fasoli)
Ha fatto molto scalpore l'ultima intervista di Arrigo Sacchi, in cui l'ex CT della Nazionale si è scagliato contro la proliferazione di giocatori stranieri nelle squadre di Serie A. Lo scalpore è stato dettato da una frase in particolare, in cui l'attuale collaboratore del Milan ritiene di non aver mai visto così tanti “neri” nelle squadre giovanili.
Ora, si può ben comprendere come in questi tempi di banane e di “cosi” l'Arrigo nazionale sia caduto in una gaffe clamorosa, esprimendosi come un tavecchino qualunque; tuttavia una parte del ragionamento che esso ha effettuato è condivisibile, e ripropone un annoso problema.
Prendiamo come esempio lo stesso Milan, una società che quest'estate aveva annunciato al mondo che avrebbe puntato sui giovani per un progetto a medio-lungo termine.
Il classico specchietto per le allodole: non c'è mai stato un progetto serio in tal senso per la squadra di Inzaghi, bensì il classico “tirare a campare” con cui il Diavolo si trascina da quello che per i milanisti è stato il D.I.T. (Dopo-Ibrahimovic&Thiago Silva), fatto di parametri zero e operazioni discutibili.
In realtà, con questo proclamato falso intento la società intendeva quasi mettere le mani avanti su una povera campagna acquisti e su una stagione che si sarebbe rivelata fallimentare. La vendita da parte dei rossoneri di Cristante nel mercato estivo, fatta per ricavare due milioncini, è stata infatti subito la lampante conferma di una non-visione non solo in termini di giovani da valorizzare, ma anche in termini economici.
Ma potremmo pure osservare l'Italia di Conte, per farci un'idea: una squadra che si basa su monumenti come Pirlo, Buffon e De Rossi, ma in cui è davvero difficile trovare eredi degni degli eroi del mondiale 2006.
Questo, oltre che per il muro creato dai club, è causato anche da una FIGC che si è saputa “rinnovare” mettendo Tavecchio al comando e uno come Lotito come sua ombra, e quindi con un'investitura fatta a favore di un business calcistico che guarda solo ai propri interessi e di personaggi che non vedono oltre il proprio naso;
una mossa che in termini di cambiamento, per il sottoscritto, ha avuto un effetto paragonabile a Zamparini che si mette a fare corsi di self-control dirigenziale: non il massimo della credibilità, dunque.
Occorrerebbe che le società nostrane riescano a capire che il mondo è cambiato, e che società come il Barcellona dovrebbero essere il punto di riferimento non tanto come vittorie, ma quanto come modello di scouting e di sviluppo calcistico delle giovanili. DI positivo c'è che squadre come Empoli e Sassuolo, solo per citare due esempi, fanno ben sperare in questo senso. Ma sono troppo poche, per ora.
Ha fatto molto scalpore l'ultima intervista di Arrigo Sacchi, in cui l'ex CT della Nazionale si è scagliato contro la proliferazione di giocatori stranieri nelle squadre di Serie A. Lo scalpore è stato dettato da una frase in particolare, in cui l'attuale collaboratore del Milan ritiene di non aver mai visto così tanti “neri” nelle squadre giovanili.
Ora, si può ben comprendere come in questi tempi di banane e di “cosi” l'Arrigo nazionale sia caduto in una gaffe clamorosa, esprimendosi come un tavecchino qualunque; tuttavia una parte del ragionamento che esso ha effettuato è condivisibile, e ripropone un annoso problema.
Prendiamo come esempio lo stesso Milan, una società che quest'estate aveva annunciato al mondo che avrebbe puntato sui giovani per un progetto a medio-lungo termine.
Il classico specchietto per le allodole: non c'è mai stato un progetto serio in tal senso per la squadra di Inzaghi, bensì il classico “tirare a campare” con cui il Diavolo si trascina da quello che per i milanisti è stato il D.I.T. (Dopo-Ibrahimovic&Thiago Silva), fatto di parametri zero e operazioni discutibili.
In realtà, con questo proclamato falso intento la società intendeva quasi mettere le mani avanti su una povera campagna acquisti e su una stagione che si sarebbe rivelata fallimentare. La vendita da parte dei rossoneri di Cristante nel mercato estivo, fatta per ricavare due milioncini, è stata infatti subito la lampante conferma di una non-visione non solo in termini di giovani da valorizzare, ma anche in termini economici.
Ma potremmo pure osservare l'Italia di Conte, per farci un'idea: una squadra che si basa su monumenti come Pirlo, Buffon e De Rossi, ma in cui è davvero difficile trovare eredi degni degli eroi del mondiale 2006.
Questo, oltre che per il muro creato dai club, è causato anche da una FIGC che si è saputa “rinnovare” mettendo Tavecchio al comando e uno come Lotito come sua ombra, e quindi con un'investitura fatta a favore di un business calcistico che guarda solo ai propri interessi e di personaggi che non vedono oltre il proprio naso;
una mossa che in termini di cambiamento, per il sottoscritto, ha avuto un effetto paragonabile a Zamparini che si mette a fare corsi di self-control dirigenziale: non il massimo della credibilità, dunque.
Occorrerebbe che le società nostrane riescano a capire che il mondo è cambiato, e che società come il Barcellona dovrebbero essere il punto di riferimento non tanto come vittorie, ma quanto come modello di scouting e di sviluppo calcistico delle giovanili. DI positivo c'è che squadre come Empoli e Sassuolo, solo per citare due esempi, fanno ben sperare in questo senso. Ma sono troppo poche, per ora.
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