CON... GENNARO CIOTOLA - AREA SCOUTING CAGLIARI CALCIO

di Cesidio Colantonio

Gli stoici amavano dire che la filosofia poteva essere paragonata ad un frutteto dove i portici di cinta erano la logica, gli alberi alti e a forma circolare la fisica e i tanti frutti talentuosi l’etica. La regola è elementare e le passioni naturali vanno coltivate e soddisfatte sempre. 
Intervista esclusiva a Gennaro Ciotola, osservatore del Cagliari Calcio, nato a Napoli l'1 aprile 1990. Prima della sua esperienza in Sardegna ha collaborato con la Dreams of Soccer, Spal, Reggiana, Pro Vercelli e gestisce il vivaio del New Team San Giovanni a Portici (NA). 
Ciotola osserva come fanno i grandi attori e gli scrittori quando vogliono raccontare un personaggio. Il suo motto: "Se puoi sognarlo, puoi farlo" [cit. Walt Disney].

PdC: Un grande osservatore è colui che scova ragazzini di talento e dà spazio loro per dimostrarlo. C’è qualcosa di speciale nello scouting?
GC: La parola più bella per me è fantasia. È chiaro che il calcio è composto di livelli, di possibilità, di potenzialità, di ricerca, di creazione di un sistema. Poi c’è l’intuito che ha un peso enorme. Io credo che alla base di un progetto di scouting ci sia il futuro per tanti giovani che sono il punto centrale e che cerco di aiutare nel loro percorso calcistico e di vita.

PdC: Quando si osserva, si mettono in moto tutti i nostri istinti naturali, nello stesso modo in cui alcuni sono in grado di suonare uno strumento musicale senza aver preso una lezione… 
Quando osservi alleni occhio e anima?
GC: Probabilmente è così. Quando osservo alleno occhi e anima. L’occhio perché credo che nonostante in questi anni abbia accumulato un bel po’ di esperienza e visto tantissime partite, credo che non siano mai abbastanza per non commettere errori e continuare a migliorare. Il nostro è un lavoro dove vince chi fa meno errori. Non esiste chi non li commette; l’anima perché ogni volta che in partita vedo un pallone rotolare su un campo tra i tanti bambini, è probabile che il più bambino di tutti diventi io. È lì che capisci realmente cosa rappresenti il calcio. È un incontro di emozioni. Quando si dice "non è solo un gioco" è la pura verità. Per me è il calcio è sempre stato tutto.

PdC: Un giorno Gianni Mura disse di Promesse del Calcio: "…di quei ragazzi a metà del guado pochissimo importa a tutti. Quindi occuparsene è già una scelta di campo". Cosa rappresenta il giovane calciatore per te?
GC: Lavoro giornalmente con i giovani ed è un argomento delicato ed affascinante. In primis, i giovani, non vanno trattati tutti nello stesso modo. Cerco di conoscerli, frequentarli, capire quello che pensano. Ognuno di loro va trattato in maniera diversa, cerco di adeguarmi al loro carattere. L’aspetto psicologico è fondamentale. Cerco di stargli vicino e aiutarli. Penso di essere un punto di riferimento per tanti giovani che sono il futuro. Noi dobbiamo dare il giusto esempio, portarli sulla retta via. Far capire loro che la cultura è fondamentale. Oltre al calcio bisogna creare un avvenire scolastico. Calcisticamente parlando, a mio parere, i settori giovanili sono di vitale importanza, ma è una cosa che dicono in molti ma fanno in pochi. Non sono nessuno per cambiare le cose in Italia, ma non dobbiamo meravigliarci se in Germania o in Francia nelle prime squadre giocano ragazzi di 16/17 anni, mentre qui da noi a 20 anni giocano ancora nella squadra Primavera. È il sistema che va modificato, con i giovani ci vuole coraggio. Quello che io nel mio piccolo cerco di creare, sono i presupposti per valorizzare le giovani leve.

PdC: Vincere e apparire. Quelli che hanno come unico obiettivo la crescita dei ragazzi. È un obiettivo che soddisfa la tua unica ossessione? Quell’ossessione che ti porta a migliorare tutti i giorni per trovare sempre più soluzioni che ti permettono di trasferire i concetti giusti. Crescere per far crescere: è così?
GC: Io credo che ci sia sempre da migliorare. Anzi, dirò di più. Nel bagaglio acquisito in questi anni di lavoro, devo dire che molte cose le ho imparate proprio dai ragazzi. Sono il primo a mettere sempre in discussione il mio operato per cercare di fare sempre meglio. Però ai giovani va insegnata anche la cultura della vittoria. Credo che il miglioramento individuale e collettivo e la vittoria possano camminare insieme e lavorare per un unico obiettivo. Poi dipende anche il che modo vai a cercare la vittoria...

PdC: Cosa ne pensi del talento imprigionato dalla tattica?
GC: Per tradizione storica siamo il Paese della tattica, nel momento di formazione tra l’attività di base e l’inizio dell’attività agonistica nel quale spesso gli istruttori si sono preoccupati solo di dare informazioni tattiche generali a tutta la squadra. Questo per me è sbagliatissimo. La tattica va bene, ma al giovane atleta va insegnato in primis a creare un rapporto con la palla abbinato alla fantasia. Mai togliere questo ingrediente ad un giovane calciatore; l’inventiva, giudicare lo stop in tutte le sue sfaccettature (di testa, di petto, di coscia, ecc.), la tecnica e poi alla fine viene insegnato tutto il resto.
 
Ph dal profilo Instagram @_alessandro_vinciguerra_

PdC: Un nome per il futuro?
GC: Alessandro Vinciguerra. Attaccante del Cagliari classe 2005, prelevato dall'ex "Cantera Portici", oggi denominata ASD New Team San Giovanni. Secondo me arriverà a giocare ad ottimi livelli.

PdC: L’aspetto tecnico e la formazione dei giovani calciatori sono fondamentali. È il momento dei formatori. Se non ci sono i fondamentali il resto non conta. Come si può migliorare il settore giovanile italiano?
GC: C’è bisogno di gente seria, competente ed appassionata. I ragazzi vanno portati in centri di formazione e scuole calcio dove allenano istruttori qualificati e adeguatamente preparati.


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